Fonte : Ilfattoalimentare
L’operazione della procura di Torino contro i marchi: Carapelli, Bertolli, Sasso, Coricelli, Santa Sabina, Prima Donna e Antica Badia, sospettati di avere venduto olio extra vergine con difetti organolettici che lo vedrebbero declassato a olio vergine, rientra nelle tipiche frodi del settore. Il prodotto considerato un elemento cardine della dieta mediterranea, è anche uno degli alimenti più sofisticati in Europa.L’Italia è forse la culla del malcostume tanto che negli ultimi 50 anni le frodi hanno coinvolto quasi tutti i grandi marchi con il sequestro di lotti composti da milioni di litri! Il motivo di tanti illeciti è puramente economico. La caratteristica di tutte le frodi (quelle degli anni ‘70 quando si vendeva olio di oliva miscelato con olio di semi e quelle di oggi in cui si spaccia olio deodorato come extravergine) è che si tratta di operazioni illecite con un livello di rischio molto basso. Le possibilità di essere colti in fallo sono scarse, sia perché le autorità sanitarie non dispongono di validi supporti legislativi, sia perché trattandosi di frodi senza rischi sanitari, i rischi per i consumatori sono contenuti. Purtroppo negli ultimi anni l’extravergine è diventato un prodotto civetta sempre presente nelle offerte dei supermercati con sconti esagerati e questa corsa al ribasso favorisce i comportamenti illeciti.
Oggi le contraffazioni più diffuse si fanno miscelando olio mediocre importato da Spagna, Grecia e Tunisia a un prezzo vantaggioso, con prodotto locale da etichettare come “100% italiano“. L’altra furberia consiste nel recuperare olio, soprattutto spagnolo, con problemi organolettici (odore e sapore di morchia, muffa, rancido, riscaldo), eliminare i difetti attraverso la deodorazione (vietata per legge) e vendere il lotto come extra vergine.
Il trattamento di deodorazione è in genere correlato alla presenza nell’olio di elevate quantità di etil esteri, che quando superano certi livelli sono indice di frode. Gli etil esteri sono composti che derivano dall’unione degli acidi grassi liberi nell’olio (naturalmente presenti) e l’alcol etilico. Quest’ultimo non dovrebbe essere presente nell’olio, se non in concentrazioni molto basse, altrimenti è indice di fermentazione, ovvero è frutto di batteri che agiscono quando le olive rimangono ammassate per lungo tempo o vengono stipate nei cassoni degli autocarri (*). «Per il consumatore riconoscere le frodi è difficile – precisa Alberto Grimelli direttore di TeatroNaturale.it testata specializzata del settore. – Quando un olio viene venduto a prezzi inferiori rispetto alla quotazione all’ingrosso è legittimo avere dei dubbi. Nelle ultime settimane i listini oscillano intorno ai 4,00 €/l e questo vuol dire che sullo scaffale la bottiglia dovrebbe costare intorno a 5,00 €/l». «Un’altra furberia – prosegue Alberto Grimelli – consiste nel miscelare extravergine dal sapore piccante o amaro con olio difettoso, deodorato o di categoria inferiore ottenendo così una miscela dal sapore delicato che piace tanto agli italiani. Anche in questo caso però dopo pochi mesi i difetti pendono il sopravvento e la qualità decade. Insomma, l’olio non è più extravergine». Inizialmente l’olio ottenuto da miscele anomale, oppure da deodorato dà un buon risultato, ma dopo 2-3 mesi le caratteristiche organolettiche negative prendono il sopravvento, il prodotto si ossida velocemente e acquista un sapore poco piacevole. Per evitare questo inconveniente diversi marchi propongono ai supermercati lotti “taroccati” a prezzi stracciati che vengono venduti in pochissime settimane.
Come scegliere senza avere cattive sorprese? Imparare ad assaggiare l’extra vergine come si fa con il vino, confrontando bottiglie da 3,00-4,00 €/l con quelle che costano il doppio (il sapore tipico dell’oliva e il gusto dovrebbero emergere in modo evidente).
L’origine. Se le bottiglie DOP devono riportare in modo chiaro l’area geografica, negli altri casi l’etichetta indica sempre se l’olio proviene da paesi UE o extra UE. È vero che spesso il prodotto italiano è migliore e per questo costa 2-3 euro in più al litro, ma gli esperti sanno che la qualità dipende da vari fattori come il cultivar, l’annata, il sistema di raccolta e la conservazione. I produttori bravi scelgono ogni anno gli oli migliori nell’area mediterranea e li miscelano in modo da proporre un prodotto di qualità. La scritta “made in Italy” non è automaticamente garanzia di qualità ma attesta che l’olio è stato prodotto e confezionato in Italia con olive esclusivamente nazionali.
Le indicazioni, usate soprattutto all’estero, per indicare che è stato confezionato in Italia sono “product of Italy” e “imported from Italy“. Anche le diciture “confezionato in Italia” o “imbottigliato in Italia” non sono sinonimo di un olio prodotto con olive del nostro paese. «Bisogna rendersi conto – prosegue Alberto Grimelli – che la materia prima proviene in buona parte da altri paesi. Durante la scorsa annata 2014/15 il nostro raccolto è stato scarsissimo e di qualità mediocre, per questo abbiamo importato da Spagna, Grecia, Tunisia e Marocco un quantitativo pari all’80% dell’olio imbottigliato in Italia».
Il colore infine non è correlato alla qualità. La tonalità dell’extra vergine varia dal verde vivace e intenso al giallo paglierino. In cucina conviene usare un extravergine più economico per cucinare salvo poi selezionare un DOP o un prodotto di qualità per condire l’insalata o altri piatti
(*) In Spagna il momento critico della raccolta è al frantoio, quando le olive possono aspettare molto tempo in attesa della spremitura, magari ammassate in grandi cumuli. In questo intervallo di tempo i batteri attaccano le sostanze organiche delle olive e comincia una fermentazione con produzione di alcol etilico e note aromatiche anomale, tali da conferire all’olio un cattivo odore impedendone la commercializzazione come extra vergine.