Fonte : ilfattoalimentare
«Vorrei preparare una cena a base di pesce. Mi raccomando, però, senza lische!» Non è raro sentire una frase come questa davanti al banco del pesce. Nei primi sei mesi del 2016 gli italiani hanno consumato meno carne e più prodotti ittici, avvicinandosi ai 26 chili l’anno, anche se per molti si tratta ancora di un alimento piuttosto “misterioso”. È consigliato perché nutriente e digeribile, adatto a tutte le età e per tutte le diete. Il pesce però è un alimento “delicato” perché si presta più facilmente alle frodi, perché non è sempre facile riconoscere il grado di freschezza soprattutto quando è venduto in tranci o filetti. L’ultima criticità è la difficoltà di verificare se ciò che viene offerto è davvero la specie indicata in etichetta oppure un’altra meno pregiata.
I pesci di dimensioni maggiori, come tonno e pesce spada, accumulano inquinanti e con una certa regolarità interi lotti vengono ritirati dal commercio perché contengono troppo mercurio. I prodotti surgelati o decongelati possono essere trattati con alcuni additivi per migliorarne l’aspetto e mantenerli “freschi”. Infine, non dimentichiamo che gran parte degli stock ittici (il 90% nel Mediterraneo e nel Mar Nero) sono sfruttati oltre il limite di sostenibilità. Per questo motivo bisognerebbe scegliere il più possibile pesce sostenibile, pescato con attrezzi che non impoveriscono eccessivamente l’ecosistema marino, e abbiano dimensioni “di sicurezza” (la legge proibisce di catturare pesci molto piccoli per consentire loro di crescere e dare il tempo di riprodursi favorendo così il rinnovo delle popolazioni ittiche).
Nel nostro mare si trovano tanti pesci poco noti e poco sfruttati, come sarago, pagello, sugarello, leccia e tonnetto striato. Per orientarsi, conviene consultare il sito della commissione europea e le diverse guide sul pesce sostenibile, come quella di consumaregiusto. Per quanto riguarda gli attrezzi di pesca ci sono quelli a ridotto impatto come: canne, arpioni, nasse, reti da imbrocco, reti da posta e palangari di fondo, mentre sono poco sostenibili: reti a strascico, draghe e palangari di superficie. Secondo un sondaggio commissionato da Greenpeace, di cui abbiamo già parlato, risulta che il 77% degli italiani sarebbe disposto a spendere di più per avere pesce sostenibile. In realtà le statistiche raccontano un’altra verità. I pesci maggiormente consumati a casa sono tonno (scelto dall’81% degli intervistati), merluzzo/nasello (71%), acciughe (70%) e salmone (70%) mentre al ristorante preferiamo orata (42%), pesce spada (42%), salmone (42%) e tonno (36%). Gli stock di pesce spada e tonno sono però in condizioni critiche, per il merluzzo dipende dalla zona di pesca e il salmone è in gran parte allevato, quindi non è a rischio anche se gli allevamenti possono avere un notevole impatto ambientale.
Bisogna poi notare che meno del 30% degli italiani conosce la nuova normativa sulle etichette (in vigore dal 13 dicembre 2014) e solo uno su 10 sa che tra le diciture deve comparire anche il metodi di cattura. Sulle etichette del pesce dobbiamo trovare: il nome scientifico e comune, il prezzo al chilo, se il prodotto è fresco o decongelato, se allevato (e dove) oppure pescato con la zona di cattura e gli attrezzi usati per la pesca. Tutte queste informazioni, insieme a qualche conoscenza sulla stagionalità del pesce, permettono di fare scelte consapevoli. Purtroppo in alcuni casi le indicazioni in etichetta sono incomplete e spesso scritte in caratteri così piccoli da risultare illeggibili. Greenpeace ha lanciato Fishadvisor: una sorta di Tripadvisor delle pescherie dove è possibile scrivere e consultare recensioni relative alla qualità, freschezza e sostenibilità del pesce, oltre che alla completezza delle informazioni fornite dalle etichette.
Abbiamo visitato alcuni supermercati e pescherie nel centro di Bologna per vedere se e come la norma viene rispettata. Mentre le informazioni riportate sulle confezioni del pesce surgelato sono sempre complete, le etichette sul banco del pesce fresco in molti casi lasciano a desiderare. Nel punto vendita Pam di via Marconi le etichette riportano tutte le informazioni, ma i caratteri sono veramente piccoli: per leggerle bisognerebbe posizionarsi sul prodotto. Osservando gli anelli di calamari decongelati si legge che sono trattati con fosfati e polifosfati con funzione di stabilizzanti: E450, E451 ed E452. Queste sostanze trattengono acqua (che paghiamo al prezzo del pesce), sono consentite e impiegate in un gran numero di alimenti, e potrebbero essere dannose per la salute in caso di sovradosaggio. Niente additivi invece su calamari e seppie freschi, né sugli altri pesci freschi.
Situazione simile alla Coop San Vitale, in via Massarenti. Le indicazioni ci sono, ma sono scritte in piccolo, inoltre le zone e gli attrezzi di pesca sono indicati con un codice numerico. Per trovare la corrispondenza è necessario consultare il poster e gli stampati esposti nei pressi del banco pescheria. Sulle seppie decongelate non ci sono stabilizzanti, ma acido citrico (E 330) con funzione antiossidante. Nel banco pescheria del Conad Pola, in via Emilia levante, oltre ai “soliti” tranci di tonno (pinna gialla), pesce spada e smeriglio, ci sono orate e branzini, seppie e calamari, ma anche pesci nostrani, meno sfruttati e più sostenibili, come leccia stella e lampuga. Nelle etichette ci sono tutte le informazioni, in caratteri molto piccoli, e sono esposti i cartelli sulle zone di pesca e i metodi di cattura.
Ci sono anche prodotti congelati sfusi in vendita self-service: le etichette sono complete. Gli anelli di calamari sono trattati con polifosfati e le code di gamberi con il conservante E223 (metabisolfito di sodio). I filetti congelati e surgelati nella maggior parte dei casi non contengono additivi, tranne quelli di pangasio (pesce allevato in acque dolci in Thailandia o in Vietnam) che spesso sono addizionati con stabilizzanti.
Diversa la situazione nelle pescherie del centro, in via Drapperie. Qui, oltre alle specie più pregiate, nelle cassette esposte sulla strada si trovano molti pesci pescati in Adriatico: sugarelli, more, triglie, pagelli, melù, saraghi, sarde, alici, sgombri e delle orate vendute a sei euro al chilo. Le dimensioni a volte sono vicine al limite di legge e questo può spiegare il prezzo basso. In un angolino spunta anche del novellame.
Le etichette ci sono, più o meno precise: quelle della pescheria Brunelli sono scritte in caratteri leggibili ma non sono complete e per l’attrezzo di pesca rimandano al cartello collocato all’interno. Alla pescheria Adriatica, invece, le etichette sono più precise, ma meno leggibili. Gli attrezzi di pesca per questi prodotti sono quasi sempre reti da traino, le più usate in Adriatico. È un metodo che può avere un impatto più o meno sostenibile a seconda di diversi fattori: le reti per il pesce azzurro sono trainate a mezz’acqua (pelagiche) e, usate correttamente, con maglie non troppo strette, hanno un impatto accettabile.
Cosa è meglio scegliere, allora? «Se voglio fare attenzione alla sostenibilità – raccomanda Valentina Tepedino di Eurofishmarket – devo scegliere specie alternative alle solite dieci, variando la mia dieta ittica seguendo la stagionalità delle specie e preferendo quando possibile prodotti con l’origine più vicina a dove vivo. Conviene rivolgersi a distributori che acquistano direttamente dal produttore o dal primo intermediario, insomma preferire la cosiddetta filiera corta. È importante, dato che oggi la normativa lo richiede obbligatoriamente, acquistare solo su banchi dove l’etichetta c’è ed è completa con tutte le indicazioni di legge. Solo se il pesce è stato pescato legalmente e ha una rintracciabilità può essere anche sostenibile». Se apriamo gli occhi e cominciamo a chiedere informazioni, i rivenditori saranno costretti a porre più attenzione a ciò che acquistano e propongono a noi consumatori.
foto e testo di Valeria Balboni